Santi, poeti, navigatori e grandissime teste di cazzo.

Anche stavolta non riesco a scrivere nulla circa lo scempio della natura perché, a monte, viene lo scempio degli uomini sugli uomini (e sul resto del mondo – animale, vegetale e minerale – di conseguenza).
Mercoledì 15 aprile 2009, pag. 21, il Corriere della Sera riporta il proscioglimento per prescrizione di Dell’Utri Marcello dal reato di tentata estorsione, poiché derubricato, per effetto dell’art. 56 comma 3 c.p., a quello di minacce gravi.
Dicesi che tale Vincenzo Garraffa, allora presidente della “Pallacanestro Trapani”, ottiene una sponsorizzazione di 1,5 miliardi di lire (nel 1992); esponenti di Publitalia gli chiedono la retrocessione in nero di metà dei soldi, per creare fondi occulti; essendosi il Garraffa rifiutato, Dell’Utri lo minaccia prima a parole (“Le consiglio di ripensarci, abbiamo uomini e mezzi che la possano convincere a cambiare opinione”), poi con la visita del capomafia Vincenzo Virga in ospedale – dove era ricoverato – a parlargli del debito.
La Corte d’Appello di Milano, sez. II, investita del giudizio di rinvio, applica l’art. 56 comma 3 c.p. per il quale, se il colpevole desiste volontariamente dall’azione (la tentata estorsione), soggiace solo alla pena per gli atti compiuti, qualora essi costituiscano di per sé un reato diverso (la minaccia, sia pure aggravata, che si prescrive in un tempo assai minore).
In diritto, il ragionamento fila: ma Dell’Utri, non pago del proscioglimento, si dichiara “non contentissimo” per “una sentenza pilatesca”.
Quello che il Dell’Utri non dice è che avrebbe potuto rinunciare a giovarsi della prescrizione così da imporre alla Corte di Appello il dovere di pronunciare una sentenza nel merito, di condanna o assoluzione.
E la sentenza, dato che la prescrizione presuppone l’accertamento della responsabilità penale e dunque del reato (che solo allora può essere dichiarato estinto per prescrizione), non avrebbe potuto essere che di condanna.
Pochi giorni dopo, ecco il Dell’Utri esternare che “Mussolini, in fondo, era un uomo buono che commise un paio di sbagli, le leggi razziali e l’entrata in guerra dell’Italia”.
Cazzate, insomma, marachelle: se il povero Benito non avesse fatto ‘ste due minchiate ce lo ricorderemmo tutti benevolo intento a mietere il grano, passeggiare sul bagnasciuga, cavalcare stalloni, fottere mondine e battere due bracciate di crawl nell’Amarissimo.
Più fresca di cronaca, e disputata (si sa che per l’italiano un pelo di figa tira più di un carro di buoi, della Costituzione e dell’ONU), è la faccenda del Berlusca che tromba – non tromba – non si sa se trombi giovini zoccole casualmente scaricate a cure e spese ministeriali nei giardini delle sue villone: cazzo ci stavano a fare? Ma queste, pronte e con candore più della vergine Cuccia (aita aita!), a dire che sì, io c’ero, ma non è successo niente; e quell’altra, visitata a casa con cadeau alla mano, tempo tre mesi e niente niente ce la ritroviamo a ministra di qualche dicastero ideato all’uopo.
Franceschini, da parte sua, querulo sbotta che “i suoi figli non li farebbe educare da Berlusconi”: tranne il giorno dopo rettificare “non ho mai detto niente sui figli di Berlusconi”: un intervento decisionista, da vero uomo con le palle, mirato, sagace, autorevole, ponderato e soprattutto irremovibile.
Quest’ultimo (notizione sui quotidiani di domenica 14 giugno) sostiene esservi un complotto eversivo ai suoi danni finalizzato a distruggerlo sostituendolo con qualcun altro “non eletto dal popolo”.
Anche se, idem con patate, poco tempo dopo si viene a sapere che un tale imprenditore barese – indagato per altri fatti – deponeva giovani e meno giovani virgulte prezzolate a casa Berlusca per allietare i di lui festini: “utilizzatore finale” lo definirà, con clamoroso autogol che non smentisce gli episodi ma acutamente li qualifica in diritto, il suo avvocato Ghedini.
Dulcis in fundo, come ricordava N.H.M.M., due giudici della Corte Costituzionale vanno a cena a casa Berlusca e con la compagnia del di lui ministro Al Fano, guarda caso nelle imminenze del giudizio sul famoso lodo (che cazzo significherà mai il termine lodo, che è il nome della sentenza arbitrale, applicato ad un provvedimento legislativo, non lo so) che rende penalmente impunite le prime cariche dello Stato.
Gli accaduti in sé sono irrilevanti: il problema – a ben vedere, e secondo me – non è che il Dell’Utri abbia posto in essere atti sostanzialmente e gravemente intimidatori degni di un onesto picciotto sgavagnandosela per il rotto della cuffia, e nemmeno che abbia, non pago della busonata, e fresco fresco, sbandierato un quadretto agiografico del nostro ex Buce: no; e neanche se a casa Berlusca lui e Topolanek giocassero o meno a chi ce l’aveva più grosso, e neppure se la tale o la talaltra tipa accogliessero nel loro cavo orale l’augusto glande del Berlusca e dei suoi ospiti, eventualmente del loro prodotto seminale facendone gargarismi, non c’entrando poi un fico secco che il primo ministro non sia eletto dal popolo ma nominato e nominabile anche tra i non eletti, seppure hinc et inde spompinabile; e nemmanco – udite udite! – se i giudici costituzionali, infischiandosene di qualsivoglia remora processuale che vorrebbe assoluto distacco tra il giudicante e la parte giudicata (e il Berlusca, nella fattispecie, è decisamente, sia pure non personalmente in quanto Berlusca ma in quanto astrattamente e temporaneamente primo ministro, parte in causa), pena il dovere di astenersi, decidano di recarsi chiotti chiotti a farsi due spaghi e una scopa bazzica con gli amici: cosa mai ci sarà di male, di che cazzo avranno mai parlato? Fighe, pallone, macchine, l’ultimo disco dei Bauhaus.
Il problema risiede nella incredibile e incresciosa e ingiustificabile passività con cui questi avvenimenti vengono vissuti dalla cosiddetta opinione pubblica, ammesso e non concesso che esista un pubblico siccome entità collettiva capace di pensare e che abbia ancora, se mai la ha avuta, una opinione; ‘ste merdacce di italiani, santi, poeti, navigatori e grandissime teste di cazzo, venduti al migliore offerente pari ai saldi di fine stagione, paghi due = prendi in culo, generati e non creati della stessa stercoracea sostanza in cui si meritano di finire; acritici, delegando ai giudici l’accertamento di una verità processuale che è quanto di più lontano – giacchè rappresentazione teatrata, cioè artefatta, virtuale, simulata, ricostruita tramite documenti e testimoni, in una aula tribunalizia – dalla verità vera che chiunque immediatamente sa riconoscere o istintivamente percepire: è stato assolto/prosciolto (oramai i vocaboli, nell’uso comune, sono sinonimi)? Allora non c’entrava un cazzo!
E aspettiamo, aspettiamo, la sentenza di proscioglimento (o era assoluzione?) del Dell’Utri; aspettiamo che il Berlusca venga assolto, prosciolto, archiviato lui intero composto nel faldone, vidimato e bollato e certificato da mano cancelliera che apponga carezzevole e liberatoria sulla fronte neofollicolata l’exequatur dell’innocenza onde farne icona ostensibile di purezza; stiamo a vedere se i giudici costituzionali siano o no processati o soggetti a procedimento disciplinare.
Sono raggiunto dal mio stesso futuro (cfr. “Il paradosso di Ruzino”), tanto fantascientifico che non mi resta che scrivere di questo: che tristezza.

2 pensieri su “Santi, poeti, navigatori e grandissime teste di cazzo.

  1. Sì, ma questi continuano a stupirci con sempre nuove e rutilanti stronzate (ho letto il tuo pezzo su Montalbano: figata).
    Ciao

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