Diritto costituzionale basic.

Avvertenze.

Il pezzo che segue è una sorta di bignami del bignami di diritto costituzionale; pur avendo fatto il possibile per sintetizzare all’osso la materia mantenendo intatto e al tempo stesso comprensibile il discorso tecnico, rimane molto lungo (anche se meno delle sei – settecento pagine di un testo universitario di medio peso): per cui consiglio di leggerlo a rate o di stamparlo.

Il tutto è frammisto da mie considerazioni che, per quanto personali, poggiano su dati tecnici oggettivi.

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Il primo computer che ho usato aveva 640 kb di memoria; scrivevo con un programma che si chiamava printmaster, lanciato di volta in volta tramite floppy disk grandi e morbidi; occorreva destreggiarsi un minimo nel DOS; ed erano tempi in cui i più bravi avevano anche una minima idea delle differenze che corressero tra linguaggi di programmazione come Fortran, Pascal, Cobol, Basic.

Non so se sia stata per la fortuna di quest’ultimo, o per l’icasticità (la pregnanza, per usare un termine desueto e un po’ ciellino) del vocabolo inglese, se il termine basic si è diffuso a partire dagli anni ’90 per indicare tutto ciò che è scevro di fronzoli e accessori, essenziale.

E siccome ultimamente si fa un gran parlare di democrazia a sproposito, si diffondono le notizie più sballate sui vari organi dello Stato, la gente non ci capisce più una mazza ed è facile preda delle peggiori bugie, proverò a dare una spiegazione basic, ad uso navigatori solitari, di quella sorta di Matrix che per molti è il nostro ordinamento democratico.

La tripartizione dei poteri.

I poteri fondamentali in uno Stato sono tre: esecutivo, legislativo e giudiziario.

Chi detiene un potere è portato ad abusarne, e la storia dimostra che tutte le volte in cui vi è stata una concentrazione di poteri in capo allo stesso organo la libertà dei cittadini è stata gravemente compromessa.

Perciò la nostra Costituzione si è ispirata al principio – comune negli ordinamenti moderni – della separazione dei tre poteri, attribuendoli ad organi distinti in modo che ognuno possa controllare ed equilibrare l’altro.

Che abbia, cioè, non solo la facoltà di emanare provvedimenti tipicamente suoi, ma anche quella di controllare i provvedimenti emanati dagli altri poteri.

In epoca fascista il principio della separazione dei poteri era stato oggetto di violente critiche poiché, si lamentava, i meccanismi posti a salvaguardia della libertà dei cittadini finivano per limitare l’efficienza della azione di governo.

È invece fondamentale in un sistema democratico che la funzione di governo sia distribuita fra più organi costituzionali (Parlamento, Esecutivo, Presidente della Repubblica) poiché, se fosse concentrata in un solo organo, si avrebbe una dittatura.

Dal che si deduce che l’equilibrio tra i poteri si istituisce principalmente tra gli organi esercitanti la funzione di governo: la Magistratura non partecipa a quella funzione ma ha veste di battitore libero, di controllore delle violazioni delle regole.

Il Governo.

Il Governo è detto anche Gabinetto (ah ah!), o l’Esecutivo: detiene infatti il potere esecutivo, cioè esegue dei compiti.

Non è un organo politico in senso stretto, come il Parlamento (dove sono rappresentate le forze politiche presenti nel Paese), ma di “indirizzo politico” in senso lato: condiziona e unifica tutta l’attività dello Stato nel suo complesso.

I suoi membri sono prescelti da un incaricato, di solito un autorevole esponente della maggioranza parlamentare (che coincide, per prassi vigente negli ultimi sedici anni, con il leader del partito di maggioranza), e nominati dal Presidente della Repubblica.

Sia l’incaricato – che poi assumerà la carica di Presidente del Consiglio – che i membri nominati – che poi diverranno Ministri – possono anche non essere parlamentari (c.d. Governo tecnico).

Quando invece i membri del Governo sono interamente nominati tra i parlamentari, esso rappresenta al 100% la maggioranza politica (o, in un sistema elettorale maggioritario puro, il partito di maggioranza).

Ben si comprende, comunque, che è assolutamente falso il dire che il Presidente del Consiglio e i Ministri siano eletti dal popolo; ed è assurdo il solo pensare che il Presidente del Consiglio in carica possa costituirsi una sorta di discendenza ideale, come viene recentemente rappresentato dalle investiture di presunti delfini.

Il Governo è un organo collegiale composto a sua volta da organi individuali: i Ministri, ossia quelli che amministrano (che hanno una delega, un mandato, da parte del cittadino) il funzionamento della macchina dello Stato: la cosiddetta – vedi mò – pubblica amministrazione, ripartita in sanità (adesso si dice salute, ma a me non piace, sembra implicare una sorta di dovere), interno (la Polizia dipende dal ministero dell’interno), esteri, giustizia (governa i magistrati in quanto dipendenti pubblici ma non può comandare loro cosa fare, per come spiegherò poi), istruzione, finanze eccetera eccetera.

Uomo di punta del Governo è il Presidente del Consiglio: non si chiama né “Capo del Governo” né “Premier”, e la differenza è importante perché non deve (o non dovrebbe) determinare da solo l’indirizzo politico generale del Gabinetto ma semplicemente dirigere l’operato dei Ministri e vigilare affinchè l’indirizzo politico collegialmente stabilito venga realizzato nei vari settori.

Sebbene la gestione della attività amministrativa competa esclusivamente al Governo, esso ne risponde politicamente davanti al Parlamento che potrebbe, se non soddisfatto, sfiduciarlo.

E d’altra parte il Governo potrebbe, incazzandosi a sua volta col Parlamento per il voto di sfiducia, sciogliere le Camere.

Altro esempio di controllo incrociato dei poteri.

In termini informatici, il Governo gestisce l’hardware: la macchina, che però non può funzionare senza software.

Il Parlamento.

Il Parlamento è il fabbricante di software: sforna i programmi che regolano l’attività della pubblica amministrazione e dei cittadini tutti, cioè le leggi, e detiene pertanto il potere legislativo.

Il Parlamento è formato da Camera dei Deputati (630) e Senato della Repubblica (315).

Non solo il Parlamento è ripartito in due Camere: ma esse sono a loro volta differenziate tra di loro sia per l’età dei rappresentanti (minimo 25 anni i Deputati, minimo 40 i Senatori), sia per l’ambito territoriale in cui vengono eletti (quello della Camera dei Deputati si chiama circoscrizione, e non combacia con il collegio, che è quello del Senato), sia per il metodo di tradurre in seggi il numero di voti ricevuto da ciascuna lista politica.

Questa estrema differenziazione – condita da un sistema elettorale proporzionale che frazionava la rappresentanza politica (tutti i partiti che avevano ricevuto un numero di voti sufficiente ottenevano almeno un seggio in Parlamento) – era finalizzata sia ad assicurare una rappresentanza politica il più possibile variegata e rispecchiante il voto dei vari ambiti territoriali (ai quali potevano corrispondere forze politiche diverse); sia a distribuire, quindi, il procedimento di discussione e formazione delle leggi in capo a sedi e opinioni diverse: così da evitare accentramenti di potere potenzialmente perniciosi.

Finalità – secondo me – grandemente attenuata dalla introduzione e applicazione in salsa nostrana del sistema elettorale maggioritario, in buona fede spinto dai suoi sostenitori per favorire la formazione di grossi schieramenti politici e garantire in tal modo efficienza parlamentare e stabilità governativa in un momento storico (fine anni ’80) in cui si lamentavano le inefficienze in cui era degenerato il vecchio sistema proporzionale: polverizzazione partitica, rallentamento e semiparalisi dei lavori parlamentari, difficoltà nel formare alleanze di governo.

Grosso modo, la legge elettorale italiana attuale (c.d. “Porcellum”, succeduto al “Mattarellum” a sua volta figlio del “Tatarellum”) prevede che il partito che ottiene più voti rispetto agli altri (maggioranza relativa) goda di un premio che gli fa accaparrare ora automaticamente, anche se ha avuto il 30% dei consensi, il 55% dei seggi in Parlamento: così da avere la maggioranza assoluta necessaria sia per la emanazione di leggi che per il sostegno al Governo.

La legge in questione ripropone, riveduta e corretta, la cosiddetta “Legge Scelba” o “Legge truffa” del 1953, che venne bocciata da un referendum popolare a seguito dell’aspra opposizione delle sinistre.

Il sistema maggioritario, che in una democrazia parlamentare matura consente in effetti un buon funzionamento della produzione legislativa e del Governo, è stato immediatamente interpretato alla italiana sia dai politici (il primo a beneficiarne fu proprio Berlusconi) che da larga parte dei cittadini come facoltà di abusare della maggioranza parlamentare approvando in modo unilaterale le leggi di proprio gradimento senza rendere conto a nessuno: insomma, facoltà di “comandare”.

Col che si è passati da una estrema diluizione del dibattito volto alla emanazione di una legge ad un estremo accentramento: proprio ciò che il legislatore costituente intendeva evitare.

Nota: non chiamerò mai e poi mai coloro che parteciparono alla Assemblea Costituente del 1947 “Padri Costituenti”, poiché trattasi di voce che echeggia ad un americanismo di facciata volto, come altri rimandi del genere, a creare un linguaggio inappropriato, fumoso e mistificatorio: e quindi a non far capire alla gente come stanno le cose.

La Legge.

L’attività più importante del Parlamento è l’attività legislativa, cioè la produzione di software atti a far funzionare l’hardware.

Se il Parlamento fabbrica un programma che dice che dall’anno prossimo i proprietari di case potranno applicare una tassa forfettaria (c.d. cedolare secca) sui canoni di locazione, questo verrà messo in esecuzione dal Governo tramite il ministero delle finanze, che lo tradurrà in una circolare inviata a tutte le agenzie delle entrate, in modulistica, in accertamenti tributari e in tutto ciò che serve per farlo applicare.

Se il programma riguarda un cambiamento delle materie o dei metodi di insegnamento alle scuole medie, verrà messo in esecuzione dal ministero della pubblica istruzione che costringerà provveditori, presidi e insegnanti a seguire corsi, modificare calendari e criteri didattici o valutativi, in definitiva a smadonnare.

I programmi più importanti e più noti sono quelli in materia fiscale, penale e civile; sono quelli che hanno una incidenza immediata e diretta sulle abitudini e sulle scelte della gente, tanto da poterle influenzare.

In sintesi, una variazione delle aliquote fiscali o del sistema di prelievo indurrà i cittadini, o certe fasce di cittadini o di imprenditori, a risparmiare o a spendere di più, a investire o no; se invece della cedolare secca, che colpisce i canoni di locazione percepiti dai proprietari di case, applico una tassa patrimoniale, che colpisce la proprietà immobiliare, disincentiverò dall’investire “nel mattone” in favore di altre forme di utilizzo del capitale, con riflessi negativi o positivi sui vari settori economici coinvolti (edilizia, finanza) e sulla determinazione del cittadino ad affidarsi o meno a quel tipo di rendita.

La diversità di scelte legislative rifletterà la coloritura politica del Parlamento (es.: una cedolare secca sarà più “di destra”, una patrimoniale più “di sinistra”; una maggior tutela previdenziale a cura dello Stato più “di sinistra” e una maggior liberalizzazione del sistema previdenziale/pensionistico più “di destra”).

La leva penale viene usata per affermare che un certo comportamento è riprovato dalla collettività dei cittadini e scoraggiarlo (c.d. prevenzione generale, o deterrenza): così ad esempio, dopo che negli anni passati i mezzi di informazione avevano dato notevole risalto ad una serie di incidenti stradali addebitati a conducenti sbronzi, il Parlamento ha a più riprese inasprito tremendamente le sanzioni per la guida in stato di ebbrezza o intossicazione da stupefacenti (art. 186 – 187 C.d.S.): a furor di popolo, salvo essere maledetto dal papà beccato all’etilometro dopo la cenetta in trattoria del sabato sera.

In diritto civile, le leggi più sentite dalla gente sono state quelle che hanno modificato la procedura abbreviando abbastanza la lunghezza di una causa, che dai siderali dieci/quindici anni di una volta è passata in media a tre/cinque anni salvo appelli e cassazioni.

Ma la gente non sa che le leggi approvate dal Parlamento non si limitano a queste; hanno il contenuto più disparato, dalla durata del calendario venatorio alla ratifica di una normativa CEE o di un trattato internazionale, alla introduzione del pc in un esame di Stato; ricordo anche di una che stabiliva il tasso massimo di acidità nell’olio di oliva.

L’attribuzione del potere legislativo al Parlamento, cioè a un organo composto da un sacco di gente di varia estrazione politica, rispondeva, come ho detto, alla esigenza di diversificare al massimo il dibattito che portava alla produzione di una legge, in modo che la legge fosse il frutto complesso di uno scontro/incontro di più voci ed esperienze.

Accanto al potere legislativo del Parlamento esiste anche una funzione legislativa del Governo, che si estrinseca nella produzione di decreti – legge e di leggi delegate (o decreti legislativi delegati) e dovrebbe essere limitata a casi particolarissimi.

Nel decreto legislativo (D.Lgs), il Parlamento delega il Governo ad emanare una legge su un oggetto determinato e stabilendone le linee – guida.

Il decreto legge (D.L.) è invece emanato dal Governo di sua iniziativa, in base a una eccezionale autoassunzione di potestà legislativa giustificata dalla necessità di affrontare esigenze straordinarie e imprevedibili; e va convertito dal Parlamento entro sessanta giorni dalla sua pubblicazione.

Successivamente alla introduzione del sistema elettorale maggioritario è accaduto che la produzione legislativa dei governi via via succedutisi si sia ampliata a scapito di quella parlamentare, come ho avuto modo di accertare compiendo una piccola ricerca a casaccio su un database di uso corrente in studi legali e affini. 

Anno Leggi Decreti legge Decreti legislativi
1978 156 45 0
1988 174 77 3
1995 151 295 26
2002 118 44 37
2007 59 21 75
2008 73 38 41
2009 87 17 24
2010 72 22 73

Come si può notare, negli anni della cosiddetta Prima Repubblica il numero delle leggi ordinarie (quelle prodotte dal Parlamento) era imponente rispetto a quello dei D.L. e dei D.Lgs.

Consideriamo inoltre che i decreti legge erano emanati in casi realmente straordinari di necessità ed urgenza, ad esempio quelli di fronteggiare una improvvisa e imprevista crisi finanziaria; e i decreti legislativi trattavano quasi tutti la attuazione di direttive CEE.

Dal 1995 ad oggi il numero delle leggi ordinarie è andato mano a mano riducendosi.

Nel 1995, primo Governo Berlusconi, il numero di D.L. supera di gran lunga quello delle leggi ordinarie; se poi teniamo conto del fatto che quasi tutte quelle leggi sono leggi di conversione di D.L. possiamo concludere affermando che la funzione del Parlamento è stata pressochè azzerata.

Lo stesso fenomeno si ripete negli anni successivi, e in misura più accentuata nel corso dei Governi Berlusconi; nel 2007, Governo Prodi, le leggi sono pochine, ma in compenso i D.Lgs hanno tutti ad oggetto la conversione di direttive comunitarie.

Infine, nell’anno 2010 assistiamo a una eclatante inerzia nella produzione legislativa parlamentare, ed al contempo a uno spostamento della attività legislativa – e dunque a un trasferimento, nella sostanza, del relativo potere legislativo – dal Parlamento al Governo.

Difatti le 72 leggi ordinarie sono quasi tutte ratifiche di convenzioni internazionali o conversioni di decreti legge; i decreti legislativi trattano in parte la attuazione di direttive CEE e in parte temi che avrebbero meritato – secondo me – il procedimento ordinario: incentivi alla commercializzazione del gas naturale (argomento ricorrente, ho notato, nei Governi Berlusconi), localizzazione delle centrali nucleari, il tutto in base a una legge delega del 2009; i decreti legge la fanno da padrone rivestendo di fatto il ruolo che dovrebbero avere – secondo me – le leggi ordinarie (es.: stabilizzazione finanziaria e competitività economica, interpretazione autentica di disposizioni del procedimento elettorale, missioni internazionali delle forze armate, misure in materia di sicurezza, ecc.).

Tutto ciò viene giustificato, dai rappresentanti della maggioranza parlamentare, e quindi di Governo, in base alla necessità di accelerare le procedure legislative senza l’impaccio e le lungaggini della discussione parlamentare.

Verissimo: in effetti la discussione parlamentare implica la contrapposizione tra idee diverse, l’eventualità di un aspro ostruzionismo e persino il potenziale rischio che un progetto di legge caro alla maggioranza venga, tra votazioni alla Camera e al Senato, ridimensionato o addirittura bocciato.

Mentre, essendo un Governo politico composto al 100% da membri del partito (o della coalizione) di maggioranza, è ovvio che non sorga nessuna discussione e il progetto di legge sia già approvato in partenza.

Siamo dunque arrivati – nella prassi corrente – al risultato che il legislatore costituente aveva cercato di scongiurare con tutte le sue forze, e cioè all’accentramento di poteri in capo all’Esecutivo: ad un fenomeno, volendo parlare difficile, di autopoiesi per cui il gestore dell’hardware fabbrica esso stesso il software che deve eseguire.

La Magistratura.

Se il Governo gestisce l’hardware e il Parlamento il software, la Magistratura gestisce l’antivirus: che è a sua volta un programma, cioè un software, prodotto dal Parlamento.

Questo antivirus serve per adeguare ai principi di diritto dello Stato, ossia alle regole condivise di convivenza, i comportamenti dei cittadini che non li rispettino.

Esistono diversi tipi di diritto e relativi antivirus: civili, penali, amministrativi, tributari; ciascuno dotato di un Codice sostanziale (o un insieme di Leggi) che disciplina i comportamenti dei cittadini, e di un Codice procedurale che disciplina lo svolgimento del pertinente procedimento.

Un procedimento è una successione rigidamente organizzata di attività finalizzate alla emanazione di una sentenza; per capirci, dice come si costruisce un edificio dalle fondamenta al tetto, come devono essere i mattoni e come si devono posare; tale conformazione rigida, frutto di uno studio e di uno sviluppo secolare, rappresenta una garanzia nei confronti di eventuali abusi (è impensabile un processo sommario stile far west; e volendo pensare ad un condizionamento dell’operato di un Giudice, o semplicemente ad un errore, esiste un regime di impugnazioni atto a individuare e eliminare le distorsioni processuali: cioè i difetti costruttivi).

Il diritto civile disciplina i comportamenti dei privati cittadini nei riguardi l’uno dell’altro; ha un contenuto prevalentemente economico (regola i rapporti tra privati che abbiano ad oggetto beni immobili, o denaro) ma anche non valutabile in soldoni, come accade nelle questioni di famiglia (separazioni, divorzi) o di stato della persona (adozione, interdizione).

Se due privati cittadini (persone o società) litigano per una delle vicende di cui sopra e non riescono a mettersi d’accordo, si muniscono ciascuno di un Avvocato e avviano una causa, che viene retta e decisa da un Giudice.

Il diritto penale sanziona, per l’appunto con una pena, le violazioni più gravi del singolo cittadino nei confronti della intera collettività, i comportamenti socialmente riprovati e ritenuti dannosi.

Sicchè, se un cittadino compie una violazione di carattere penale, l’intera collettività è incazzata con lui e chiede che venga punito, venendo a tale scopo rappresentata dal Pubblico Ministero (colui che amministra la volontà pubblica della punizione).

Il P.M. avvia un processo, che viene retto e deciso da un Giudice, nel quale il violatore (imputato) viene difeso da un Avvocato che fa valere i suoi diritti sostanziali e processuali: contemperando in tal modo la volontà punitiva della cittadinanza infuriata con i diritti del violatore.

Il P.M. è obbligato, art. 112 Cost., a esercitare l’azione penale quando viene a conoscenza di una notizia di reato, fino alle estreme conseguenze: sentenza di assoluzione (o di proscioglimento) o di condanna, o archiviazione, che sono tutte pronunciate da un Giudice; quindi, non può decidere da solo se procedere o no a seconda delle simpatie.

Non affronto qui ed ora ulteriori digressioni sul diritto e sul processo penale.

Il diritto amministrativo regola il corretto svolgimento della attività della Pubblica Amministrazione; se un cittadino ritiene che la amministrazione non abbia operato correttamente e sia stato leso un suo interesse (che è l’interesse di tutti a tale corretto operare e si chiama interesse legittimo) si rivolgerà ad un Avvocato e la converrà in un procedimento, sempre retto e deciso da un Giudice, nel quale la amministrazione statale è rappresentata dalla Avvocatura dello Stato.

Il diritto tributario disciplina per l’appunto gli adempimenti tributari della cittadinanza; e se il cittadino reputa di essere stato ingiustamente tassato converrà il Ministero delle Finanze in un giudizio, retto e deciso da una Commissione, nel quale il Ministero si difende in proprio.

L’art. 104 Cost. sancisce il principio che “la Magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere”.

Cioè, rappresenta un terzo potere, quello giudiziario, rispetto al potere legislativo ed esecutivo: non è ad essi subordinato e non deve in nessun modo essere da essi condizionato.

Al tempo stesso, la Magistratura non è un organo costituzionale: è apolitica (divieto di iscrizione ai partiti) e non partecipa alla funzione di governo.

Anche se la Magistratura dipende strutturalmente, per quel che riguarda il pagamento di uomini e mezzi, dal Ministero della Giustizia, a garanzia della sua indipendenza i provvedimenti relativi alla carriera e al trasferimento del personale giudiziario, e quelli disciplinari, non possono essere presi dall’Esecutivo.

La ragione è semplice: la minaccia di un trasferimento o di una sanzione disciplinare, una promozione o un declassamento forzati possono costituire gravi attentati alla indipendenza di un Magistrato.

Pensiamo, ad esempio, alle ipotesi in cui il Ministro della Giustizia voglia favorire un amico sottoposto a processo penale (o parte in causa in un procedimento civile), o viceversa perseguitare un avversario politico: ebbene, se tiene per i maroni il P.M. o il Giudice perché può disporre della sua carriera, gli sarà facile condizionarne l’operato.

Analogamente, un grosso delinquente imputato di gravi reati potrebbe cercare, tramando e corrompendo a destra e a manca, di fare assegnare il processo a un Giudice compiacente o intimidito; lo stesso, un personaggio ricchissimo e influente per uscire vittorioso in una controversia economica.

A scanso di abusi dell’Esecutivo, usuali in regimi autoritari, tutti i provvedimenti riguardanti i Magistrati sono deliberati dal Consiglio Superiore della Magistratura (alcuni di sua iniziativa, altri su proposta del Ministro della Giustizia) e adottati con decreto del Presidente della Repubblica, che lo presiede.

Il C.S.M. è un organo terzo, amministrativo, composto per 2/3 da membri della Magistratura e per 1/3 del Parlamento; anche in questo caso, a fini di equilibri di potere.

E, ulteriori garanzie della indipendenza del magistrato sono costituite sia dalla sua inamovibilità, sia dal fatto che un complesso di regole procedurali determina il Magistrato competente (non nel senso che è bravo, ma che è quello a cui va assegnato il procedimento: c.d. giudice naturale precostituito per legge) in sede civile, penale, tributaria o amministrativa, ancor prima che si compia l’evento oggetto di procedimento e in relazione a una sua astratta realizzazione.

Per semplificare: il P.M. competente per territorio condurrà le indagini, e la Corte di Assise emetterà la sentenza, in relazione a tutti gli omicidi astrattamente verificabili nel Comune di X; il Tribunale del Comune di Y, nella persona del Giudice competente per quella materia, deciderà tutte le cause di locazione di quel luogo.

La Magistratura è anche indipendente e autonoma nei riguardi del potere legislativo, politico: i Giudici, secondo l’art. 101 Cost., sono “soggetti soltanto alla legge”, e quindi solamente la Legge (cioè i codici) e nessun’altra espressione delle Camere può vincolarne l’operato.

L’obbedienza alla Legge è, inoltre, garanzia della imparzialità della Magistratura (un Giudice non può fare, come si cerca di dare a bere alla opinione pubblica, ciò che vuole, ma è vincolato dai codici sostanziali e procedurali di cui sopra); ad ulteriore corollario della quale esistono – in tutti i codici procedurali – norme precise che impongono la estraneità del Magistrato agli interessi delle parti (rispetto a un parente, un amico o un nemico; o, in materia penale, se abbia già toccato il medesimo procedimento in altra veste rimanendone, si dice, suggestionato).

La Magistratura è l’antivirus alle violazioni di Legge compiute da qualsiasi cittadino, anche se uomo politico o esso stesso Magistrato.

È anche antivirus alle violazioni della Costituzione da parte di una Legge (vizio di incostituzionalità): funzione svolta dalla Corte Costituzionale, organo giurisdizionale composto da 5 Magistrati delle giurisdizioni superiori, 5 professori universitari e 5 avvocati, nominati in parte da un collegio di Magistrati, in parte dal Parlamento in seduta comune, in parte dal Presidente della Repubblica (anche stavolta, l’eterogeneità è finalizzata al bilanciamento delle forze).

Difatti, ogni Legge deve armonizzare (nella sostanza e nella forma) ai principi costituzionali; deve dipendere dalla Costituzione, che è la chiave di volta del nostro sistema democratico: e poiché ogni scostamento dalla Costituzione rappresenta un possibile malware, scardinamento del sistema, è sottoposto a una accuratissimo filtro di sorveglianza.

Ciò posto, ben si comprende la ragione per la quale il legislatore costituente si è preoccupato di rendere il potere giudiziario più possibile autonomo e svincolato dagli altri due poteri: perché ha il delicatissimo compito di vigilare sull’osservanza delle regole socialmente condivise e sulla preservazione dei principi costituzionali da eventuali colpi di mano.

I quali principi possono essere modificati solo mediante un lungo, complesso e condiviso iter parlamentare (c.d. procedura di aggravamento, che prevede una doppia deliberazione conforme sullo stesso testo da parte di ciascuna Camera, la seconda entro tre mesi dalla prima e a maggioranza di 2/3: salvo, in ogni caso, il potere di veto del Presidente della Repubblica e il potere del popolo di richiedere referendum sospensivo o abrogativo).

Mi ha dunque suscitato notevoli perplessità la recente proposta di modifica dell’assetto costituzionale della Magistratura, definita sbrigativamente “riforma della Giustizia”.

E questo, per diversi motivi.

Uno, la provenienza del disegno di legge costituzionale da parte del Governo attualmente in carica, cioè da una parte che si è dimostrata interessata ad una modifica di questo genere.

Due, che secondo l’art. 101 modificato non più “la Magistratura”, ma solo “i Giudici” costituirebbero un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere e siano soggetti solo alla Legge; col che, devo supporre che i P.M. sarebbero in qualche modo resi dipendenti da un altro potere e non siano soggetti solo alla Legge.

Tre, che secondo l’art. 104 modificato venga assicurata la separazione delle carriere di Giudici e P.M.

Quattro, che secondo l’art. 102 modificato il P.M. abbia l’obbligo di esercitare l’azione penale “secondo i criteri stabiliti dalla legge”: quali? E siamo sicuri che questi fantomatici criteri non saranno a maglie così larghe da consentire un uso strumentale della azione penale?

Cinque, che secondo l’art. 109 modificato siano posti dei limiti alla direzione della polizia giudiziaria (… secondo le modalità stabilite dalla legge) da parte del Pubblico Ministero.

Sei, che mentre contro le sentenze di condanna sia sempre ammesso l’appello, quelle di proscioglimento lo siano solo “nei casi previsti dalla legge”: quali?

Sette, che sia introdotta una particolare forma di responsabilità per i Magistrati (oltre a quella già esistente), che otterrebbe, secondo me, l’effetto di intimidirne l’operato (tipo quel che succede adesso ai medici, che o prescrivono un sacco di esami e medicine o cercano di sbolognare ad altri una rogna).

Otto: dulcis in fundo, che secondo l’art. 110 modificato spetti al Ministro della Giustizia la “funzione ispettiva” sui Magistrati e la facoltà di riferire annualmente alle Camere “sullo stato della Giustizia, sull’esercizio dell’azione penale e sull’uso dei mezzi di indagine”.

Secondo me, e credo sia chiaro a tutti dopo il precedente riepilogo, queste piccole e apparentemente innocue modifiche rappresentano in realtà altrettanti trojan horses che da un lato depotenziano un po’ la funzione di antivirus della Magistratura, dall’altro la rendono un po’ più (ma significativamente) dipendente dall’Esecutivo, da un altro ancora rimettono al Parlamento (a mio parere illegittimamente, atteso che la legge costituzionale di modifica dovrebbe già contenere in sè tutte le specificazioni della materia) l’emanazione di leggi ordinarie, ancora imprecisate nel contenuto, che ne imbriglino il funzionamento.

Cioè tutto ciò che il legislatore costituente intendeva evitare.

Il Presidente della Repubblica.

Il Presidente della Repubblica, sempre in termini informatici, è l’operatore, colui che sorveglia il funzionamento di tutto il sistema.

Rappresenta l’unità nazionale: quindi vigila (unitamente alla Corte Costituzionale) sul rispetto delle norme costituzionali da parte sia del Parlamento che del Governo; ed è arbitro imparziale della politica dei partiti.

Non viene, come il Presidente del Consiglio, eletto direttamente dal popolo, a scanso di pericoli di autoritarismo (si pensi a quanto una forte personalità può influenzare l’elettorato).

Viene eletto dal Parlamento in seduta comune, con maggioranza di 2/3; solo al terzo scrutinio basta la maggioranza assoluta: poi presta giuramento dinanzi alle Camere.

Il Presidente della Repubblica ha alcuni poteri parzialmente vincolati (non può non esercitarli se ne sussistono i presupposti), come quello di indire le elezioni o i referendum; altri, più discrezionali.

Tra questi ultimi rilevano quelli di nomina dei membri del Governo, di scioglimento anticipato delle Camere, di rinvio delle leggi in sede di promulgazione, di messaggio, di grazia.

Sulla nomina dei componenti del Gabinetto abbiamo già detto.

Circa lo scioglimento delle Camere, questo potere non è del tutto esclusivo e autonomo, anzi: il decreto del Presidente della Repubblica va controfirmato dal Presidente del Consiglio, che ovviamente non ci starà se prevede che in quel momento il partito (o la coalizione) che lo sostiene risulti minoritario alle nuove elezioni.

Le ipotesi di scioglimento sono tre: quando le Camere non appaiano più rappresentative del sentimento politico del popolo (per il che, di solito, segnale eloquente è dato dalle elezioni amministrative); quando il Governo non è più sostenuto da una stabile maggioranza parlamentare; in caso di insanabile conflitto politico tra le due Camere, con stallo del lavoro legislativo.

Un potere importante è quello di rinvio delle leggi in sede di promulgazione: consente al Presidente della Repubblica il controllo costituzionale sulla legge da emanare richiedendone un secondo esame da parte delle Camere e indicandone i motivi di legittimità o di merito (sostanza); se però le Camere approvano di nuovo la legge, è tenuto a promulgarla ugualmente.

Fatto sta, però, che una simile eventualità non si è mai verificata: perché avrebbe fatto pensare alla opinione pubblica che la maggioranza parlamentare intendesse combinare o sconquassi costituzionali (illegittimità) o cose poco pulite (merito).

Anche il potere di messaggio non è male, perché se – come spesso è accaduto – il Presidente della Repubblica è persona reputata come neutrale, onesta e credibile, può esercitare notevole influenza sul sentimento e sull’orientamento politico dell’opinione pubblica.

Considerazioni finali.

La maggioranza parlamentare del trascorso decennio e attualmente in carica, con la breve balbettante parentesi del Governo Prodi, ha fatto digerire all’opinione pubblica praticamente di tutto per giustificare l’esercizio di fatto, da parte del Governo, di poteri spettanti ad altri organi (legislativo); per giustificare la necessità di affievolire altri poteri (giudiziario); per giustificare la necessità di una maggiore concentrazione di poteri in capo al Gabinetto; e per giustificare la emanazione di provvedimenti legislativi che regolamentassero definitivamente questa presunta necessità.

Solo per fare un paio di esempi di giustificazioni addotte ai sistematici tentativi di diminuire il potere giudiziario:

– è inammissibile che questi magistrati si arroghino questo potere.

È chiaro, per quanto esposto: che non solo non sia inammissibile che la Magistratura abbia un “potere”, ma sia costituzionalmente previsto; che un potere (lo dice la parola stessa) sia una cosa tosta e seria, dinanzi alla quale non si scherza ma si deve chinare il capino; che sia il Parlamento che il Governo hanno i loro rispettivi poteri, analogamente grandi e tosti; e che il sistema di poteri era ideato perchè si controbilanciassero a vicenda.

– una Magistratura che, con Tangentopoli, spazzò via una intera classe politica, alla quale è ora di restituire il primato.

Se ben ricordate, all’origine di Tangentopoli c’era un sistema politico-amministrativo tanto corrotto che collassò su se stesso per l’impossibilità sociale di sostenerne i costi: e la Magistratura non fece altro che eseguire un lavoro, processando trasversalmente uomini politici e imprenditori di qualsiasi schieramento e ideologia, in ciò approvata da una opinione pubblica unanimemente concorde.

Le giustificazioni addotte alla assunzione di prerogative legislative parlamentari da parte del Governo attengono alla pretesa necessità di “fare prima”, a cui ho già accennato.

Infine, è stata recententemente manifestata l’intenzione di ridurre i poteri del Presidente della Repubblica attribuendoli, per converso, al Presidente del Consiglio secondo la bizzarra idea che quest’ultimo ne avrebbe “pochi”.

Va da sé che, una volta che il Governo emanasse le leggi al posto del Parlamento; che fosse il Presidente del Consiglio a decidere se una legge è costituzionale o meno; che la magistratura inquirente (P.M.) venisse fatta dipendere in qualche misura dall’Esecutivo e quella giudicante in qualche misura imbrigliata dal Parlamento e dal Ministro competente: ebbene, si realizzerebbe quella pericolosissima concentrazione di poteri che il nostro legislatore costituente intendeva con tutte le forze evitare.

L’aspetto preoccupante è che tutta la faccenda venga vista, dalla stampa corrente e dalla opinione pubblica, come un mero tentativo di Berlusconi di liberarsi dalle sue beghe giudiziarie, e che su questo si accentri il dibattito.

In realtà è un disegno che mira a ben più ampi e gravi obiettivi.

Mentre scrivevo, nelle ultime settimane, sembrerebbe che un principio di percezione del pericolo abbia cominciato a diffondersi tra la gente.

Spero, e non solo per avversità all’operato di Berlusconi, ma perchè credo nella informazione come vaccino per ogni evenienza del genere, che questo mio piccolo prontuario possa tornare utile.

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