Cari saluti.

Quando incontro una persona che conosco la saluto.

Le dico “ciao!”, accompagnato dal nome di battesimo: ciao Filippo!; ciao Chiara!, se ci siamo presentati, parlati più volte, frequentati o conosciuti abbastanza, ed esprimo così un certo calore e contentezza nel vedere quella persona della quale penso di avere in qualche modo compreso l’essenza.

Oppure “ciào!” e basta, se il rapporto è più superficiale, ma è il tono che conta: sono il punto esclamativo, l’accento sulla a, a caricare di significato il saluto e renderlo tale.

Negli ultimi più o meno dieci anni, non so se per una mia maturazione che mi fa notare le differenze o per effettivo mutamento dei costumi, il saluto è diventato una forma di disconoscimento.

Cioè: vedo invalso l’uso di salutare con un “ciaò?” a mezza voce leggermente accentato sull’ultima vocale e sfumatura interrogativa, oppure con un “ciàao” appena strascicato, il tutto senza aggiunta di nome, come a dire “sì, va bene, ti considero poco ma non ne posso fare a meno”, un saluto di sufficienza e raffinata, spiazzante affermazione di superiorità.

L’alternativa può consistere nel rispondere all’interlocutore nello stesso modo, oppure con un “oh” o un cenno, giusto per alzare la posta; oppure, se si tiene all’antica maniera, con il solito, rispettabile e rispettoso “ciào Tizio!”, che magari sarà infantile e sorpassato come un long playing dei Blue Oyster Cult ma ci mette al sicuro da reprimende sociali come un cappotto di loden.

Il meglio è comparso nei saluti telefonici: la conversazione adesso si chiude con “ciao, ciao, ciao, ciao, ciao” in affanno, volume digradante e allontanamento del microfono, svanimento nell’etere, “sono assai indaffarato e tu sei un puntolino nelle mie cose ma ti voglio bene lo stesso”, molto milanese – rampante poi largamente diffuso in tutte le latitudini e tutti gli strati sociali.

Ulteriore livello: “cià – cià – cià – cià – cià” rapidissimo, a indicare frenesia, “sei un nulla nell’incredibile mole delle cose che ho da fare, arrivederci prima o poi”.

Un potentissimo funzionario, ora in pensione e divenuto uno di quei temibili vecchi che girano in scarpe da tennis, rispondeva al saluto “buongiorno Dottor X” con un “gnnnrn” tra i denti e un mezzo sorriso di sbieco prima di scomparire misurando a passi felpati corridoi ministeriali.

Ma il massimo l’ha raggiunto un mio anziano condomino che, a qualsiasi ora del giorno e della notte, saluta producendo un indistinguibile fonema puro: “gnnaaaahhhh …” e gode, non so se per questo motivo, di molta stima da parte dei senex del quartiere tra i quali tiene banco nei conversari serali.

Io se fossi un mio conoscente non so mica se mi saluterei.

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